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La seconda volta di LIGO

22 Giugno 2016

Secondo la teoria della Relatività Generale di Einstein, la struttura dello spaziotempo non è fissa ed invariabile ma, al pari di quanto accade a un foglio di gomma su cui vengano poggiati dei corpi, viene deformata dalla presenza della massa e dell’energia distribuite al suo interno. Sebbene in parte fuorviante – spiega la gravità con la gravità – la metafora del foglio di gomma consente di intuire cosa accade quando, ad esempio, due corpi ruotano uno intorno all’altro: si formano delle grinze nel foglio di gomma. Analogamente, le onde gravitazionali sono increspature nella trama dello spaziotempo che si propagano alla velocità della luce.

Einstein era abbastanza scettico sulla possibilità che le onde gravitazionali potessero essere rivelate. Nel 1974, però, i loro effetti indiretti vennero osservati nel sistema binario PSR B1913+16, costituito da una stella a neutroni e una pulsar. Quest’ultima è una stella che ruota molto velocemente su se stessa e caratterizzata da una emissione nella banda radio altamente direzionale. Si tratta di una sorta di radiofaro stellare: ogni volta che, per effetto della rotazione della stella, il fascio radio punta nella nostra direzione, noi riveliamo la presenza della pulsar. Venti anni di osservazioni hanno mostrato che il periodo orbitale della pulsar intorno alla sua compagna sta diminuendo esattamente al ritmo previsto dall’ipotesi che il sistema perda energia per emissione di onde gravitazionali. 

Questo risultato, sebbene importante – gli scopritori del sistema binario, i fisici americani Hulse e Taylor, hanno ricevuto nel 1993 il Premio Nobel per la Fisica – , non soddisfa a pieno i fisici: la prova definitiva dell’esistenza delle onde gravitazionali richiede l’osservazione diretta. Le onde gravitazionali si comportano come le forze di marea: quando attraversano lo schermo del computer su cui state leggendo questo articolo, lo stirano impercettibilmente in una dimensione e lo comprimono nell’altra, senza variarne l’area, e queste deformazioni sono tanto maggiori quanto più grande è lo schermo. Per tale motivo la rivelazione delle onde gravitazionali si basa sulla misura della deformazione che esse inducono tra le parti di un corpo esteso o nella distanza tra due corpi indipendenti.

La prima tecnica è quella su cui si basa il funzionamento delle antenne risonanti, nelle quali si misura la deformazione meccanica che l’onda induce su un cilindro sospeso, generalmente di alluminio. Di questo tipo di rivelatori, sono attualmente in funzione solo due esemplari, entrambi italiani, nei laboratori dell’INFN: AURIGA a Legnaro, e NAUTILUS a Frascati. Questi rivelatori sono sensibili soltanto ad onde di frequenze prossime al kHz.

La misura della distanza è eseguita nei rivelatori interferometrici: la coppia americana LIGO – uno nello stato di Washington, l’altro in Louisiana – e l’italo-francese Virgo, situato a Cascina (Pisa). In questi rivelatori, i due corpi indipendenti di cui misurare la distanza sono gli specchi di un interferometro. In esso due raggi di luce sono inviati dallo stesso punto e simultaneamente in due direzioni perpendicolari tra loro di modo che, riflessi dai due specchi, tornino indietro lungo le direzioni di provenienza per ricombinarsi nel punto di partenza e generare una figura d’interferenza, una successione di bande oscure e luminose alternate. Il passaggio di un’onda gravitazionale altera il cammino della luce nelle due direzioni producendo una variazione nella figura d’interferenza. Gli interferometri sono strumenti di sensibilità maggiore e banda in frequenza più larga (da qualche Hz a qualche kHz) delle antenne risonanti, e, perciò, riscuotono maggiore interesse da parte dei fisici. 

Animazione dell’effetto del passaggio dell’onda gravitazionale nell’interferometro (Video credit: APS/Alan Stonebraker)

Il problema è che queste deformazioni sono piccolissime. Anche la sorgente più intensa, una supernova che esplodesse all’interno della nostra galassia, produrrebbe una variazione nella distanza Terra-Luna dell’ordine del diametro di un atomo. Ciò costringe a costruire interferometri i cui specchi distano qualche chilometro dalla sorgente di luce e, allo scopo di ridurre il più  possibile le deformazioni termiche del cilindro, ad operare le antenne risonanti a temperature molto prossime allo zero assoluto (circa -273 gradi centigradi).

Il 14 settembre dello scorso anno, a celebrazione del centenario della pubblicazione della teoria della Relatività Generale, la coppia di interferometri LIGO (ciascuno lungo 4 km e distanti tra loro 3,000 km) hanno entrambi registrato, per la prima volta, le onde gravitazionali emesse nella fusione di due buchi neri a circa 1.3 miliardi di anni luce dalla Terra. Si trattava di due “piccoli” buchi neri di massa pari, rispettivamente, a 36 e 29 volte quella del Sole (niente a che vedere con il mostro da milioni di masse solari al centro della nostra galassia), che hanno dato luogo ad un buco nero finale di circa 62 masse solari. Le 3 masse solari che mancano all’appello (36 + 29 = 65!), sono state emesse sotto forma di onde gravitazionali durante il processo di fusione. L’analisi di questo evento – chiamato GW151409 – è apparsa  sulla prestigiosa rivista americana Physical Review Letters l’11 febbraio di quest’anno [1].

Simulazione dell’onda gravitazionale emessa nella fusione dei buchi neri. (Video credit: T. Pyle/LIGO)

Sulla stessa rivista, il 15 giugno scorso, è stata pubblicata l’analisi di un secondo evento, GW152612, dovuto alla fusione di due buchi neri di massa 14 e 8 masse solari, che hanno lasciato come residuo un buco nero di 21 masse solari [2]. Quindi, in questo caso, solo l’energia corrispondente ad una massa solare è stata convertita in onde gravitazionali. Proprio perché più leggeri, il processo di fusione dei due buchi neri  è durato di più di quello del settembre 2015, il che ha consentito ai fisici di LIGO di osservare il processo di fusione e stimare anche la velocità di rotazione di uno dei due buchi neri.

Siamo agli albori di una nuova era, quella dell’astrofisica gravitazionale. Abbiamo acquisito un nuovo “occhio” per scrutare il cielo, un nuovo senso che si è aggiunto a quello elettromagnetico (luce, raggi X, raggi gamma) finora utilizzato dall’astrofisica. Nuove scoperte sono dietro l’angolo … manca solo di accendere Virgo. (Danilo Babusci)

Evento 14 settembre 2015

[1] B. P. Abbott et al. (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration), Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger
Phys. Rev. Lett. 116, 061102 (2016) – 11 Febbraio 2016  http://arxiv.org/abs/1602.03837

Evento 26 dicembre 2015

[2] B. P. Abbott et al. (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration), GW151226: Observation of Gravitational Waves from a 22-Solar-Mass Binary Black Hole Coalescence Phys. Rev. Lett. 116, 241103 (2016) – 15 Giugno 2016  http://arxiv.org/abs/1606.04855

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Evento GW150914: evoluzione temporale dei segnali registrati dai due interferometri di LIGO (pannello superiore), confrontata con quella prevista teoricamente (pannello inferiore). B. P. Abbott et al. [1]