di Lucia Votano, fisico di fama internazionale, esperta in fisica astroparticellare. Ricercatore prima presso i Laboratori Nazionali di Frascati e poi Direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN. Attualmente membro dell’esperimento JUNO che effettuerà fondamentali studi sui neutrini.
Sono state molte, tutte molto brillanti e appassionate le ricercatrici intervenute ai Laboratori di Frascati nella giornata dedicata alla riflessione sulla posizione delle donne nella Scienza. Raccontando i temi oggetto delle loro ricerche e il percorso personale che ne ha determinato la scelta professionale, hanno testimoniato nei fatti l’infondatezza di residuali stereotipi e pregiudizi che scoraggiano ancora oggi molte giovani diplomate dall’iscriversi a facoltà STEM e dall’intraprendere la strada della ricerca. Il dato su cui dobbiamo riflettere ci dice che le donne ricercatrici in tutto il mondo sono meno del 30% del totale e durante la tavola rotonda finale non sono mancate analisi delle cause del fenomeno o proposte di come cercare di superare questo divario.
Invitata a intervenire, ho preferito tuttavia allargare la discussione, ricordando che L’Italia è uno dei paesi sviluppati con il minor numero di ricercatori al mondo. Solo Cile, Turchia e Polonia registrano un dato inferiore a quello italiano. I ricercatori nel nostro Paese sono di poco superiori al 4 per mille degli appartenenti alla forza lavoro, mentre la media europea è l’1 % e, ad esempio in Korea, l’1,2 % La presenza dei ricercatori nelle imprese italiane appare poi particolarmente sottodimensionata in relazione ad altri Paesi.
Inoltre investiamo in Ricerca e Sviluppo (R&S) intorno all’1% rispetto al PIL, contro il 2.9% della Germania, il 3.4% della Svezia o il 4% della Corea, uno dei più bassi valori in Europa e rispetto ai Paesi OCSE.
Il problema delle donne nella scienza rappresenta quindi un problema all’interno di quello più ampio della scarsezza di ricerca scientifica. Le donne, dovendo ancora combattere contro pregiudizi e discriminazioni spesso subdoli, rappresentano l’anello debole della catena e sono quelle che soffrono maggiormente del problema generale. Anche quando si raggiungesse la parità al 50%, le donne (come gli uomini) avrebbero comunque molte difficoltà a dedicarsi alla ricerca scientifica.
Il fenomeno della migrazione dei nostri laureati in Europa, negli Stati Uniti e persino in Australia ne è la drammatica testimonianza.
È legittimo però chiedersi se gli scarsi investimenti in R&S sono uno dei tanti problemi italiani o sono una delle principali cause del nostro declino economico e sociale, del non aver ancora superato la crisi economica iniziata dieci anni orsono, mentre al contempo aumentano le disuguaglianze sociali.
Chi opera nella ricerca a livello internazionale è generalmente ben consapevole di come sia vera la seconda ipotesi.
E’ utile tuttavia riportare qualche dato e un esempio a sostegno di tale tesi.
La Corea del sud nel 1980 aveva un reddito medio pro-capite che era un quarto di quello italiano, un numero di laureati inferiore e l’indice di Gini (usato per misurare la diseguaglianza sociale) maggiore di quello italiano e uno dei maggiori al mondo. Con il sostegno anche del Fondo monetario internazionale hanno deciso di investire nella ricerca e nella formazione e oggi i giovani coreani sono al 70% tutti laureati, il reddito medio pro-capite è superiore di circa un 20% a quello italiano e l’indice di Gini è decisamente diminuito, cioè la loro società è più coesa.
Dobbiamo purtroppo registrare che negli stessi anni l’Italia ha seguito una politica del tutto opposta e ci ritroviamo a essere il fanalino di coda dell’Europa.
D’altra parte viviamo ormai a livello globale in piena società della Conoscenza.
La Scienza e la ricerca scientifica sono parte integrante, anzi egemone, del più ampio concetto di Conoscenza che è diventata il principale motore delle dinamiche di sviluppo culturale, sociale ed economico di una nazione.
L’umanità sta realizzando l’ennesima rivoluzione: l’economia fondata sul lavoro intellettuale e sul sapere ha soppiantato la società industriale fondata sulle macchine e il lavoro in fabbrica. La produzione di beni e servizi frutto della ricerca scientifica e della creatività in tutte le sue espressioni è diventata maggioritaria a livello planetario.
La Scienza e l’Europa
Se l’Italia va male, anche l’Europa arretra. Nello scenario globale dell’economia della Conoscenza i nuovi protagonisti sono i Paesi asiatici, dapprima il Giappone, poi adesso Cina, Corea del Sud, India e altri ancora.
La produzione di nuovo sapere si sta spostando sempre di più in Asia mentre l’Europa arretra e arranca rispetto ai due principali colossi Stati Uniti e Cina che non a caso sono anche le due maggiori potenze politiche ed economiche.
Solo fino a 100 anni fa l’Europa era quasi l’unica depositaria della Scienza, intorno agli anni ’20 e ’30 del secolo scorso l’asse si è spostato nel Nord America, ai nostri giorni verso l’estremo oriente.
Guardando agli investimenti globali in R&S l’Asia ne detiene il 40%, l’America del nord il 29% e l’Europa solo il 21%. Oggi l’Europa investe in R&S un po’ meno della media mondiale, la Cina ha superato l’Europa sia per investimenti assoluti sia relativi, sia per numero di scienziati.
Se l’Europa vuole tentare di fermare il suo declino politico ed economico deve recuperare sul piano della Conoscenza e lo può fare solo se rimane unita e solidale, perché nessun singolo Paese, nemmeno la Germania o i Paesi scandinavi che pure investono di più in R&S ce la fanno a competere alla pari.
Noi fisici delle particelle che conosciamo bene il CERN sappiamo quanto ciò sia vero, ma la Scienza e l’innovazione tecnologica non si esauriscono solo con il nostro settore.
C’è inoltre necessità di uno sviluppo equo e solidale della Conoscenza perché la diversità di accesso ad essa determina un aumento delle diseguaglianze tra i diversi Paesi e tra i cittadini di una stessa nazione. Dobbiamo quindi preoccuparci in Italia e in Europa non solo di tenere il passo a livello globale con adeguati investimenti in cultura e ricerca, ma anche di garantire una democrazia più sostanziale nella distribuzione e gestione del sapere, i cui benefici economici e sociali devono essere più equamente distribuiti.
Le donne e l’Europa
Ebbene, in questa situazione in cui l’Europa e in particolare l’Italia che ne rappresenta il fanalino di coda, perdono sempre più posizioni nell’economia della Conoscenza, sarebbe auspicabile che le donne, e in modo particolare le ricercatrici, dimostrino attivamente di aver capito quali sono le cause vere e profonde dei problemi, diventino le protagoniste di una lotta a favore di un rilancio dell’Unione Europea basata sulla Conoscenza, andando così al di là della difesa dei propri temi specifici, ancorché di grande interesse generale.
Ne va del futuro delle nuove generazioni.
Oltre a lottare più che giustamente per far valere la parità di genere nel governo delle cose, sarebbe utile che le donne facessero proprio il tema dell’Europa della Conoscenza, rendendosi più visibili in tutte le forme che la loro fantasia saprà trovare.
Ricordando alcuni esempi recenti delle piazze di Torino e Roma, credo sia opportuno cercare di fare rete, trovare consensi per lanciare uno slogan a favore di un’Europa unita, democratica, solidale e protagonista nella Società della Conoscenza. Forse è arrivato il momento in cui le donne e gli uomini di scienza devono abbandonare per un giorno i loro studi e farsi promotori di manifestazioni o flash mob in contemporanea in varie città europee a favore di un rilancio dell’ideale dell’Unione Europea, basata sullo sviluppo e l’equa distribuzione del sapere e della cultura e che sappia assicurare alle nuove generazioni ancora molti anni di pace e benessere.