Fisici sulle nuvole
Una giornata con Shahram Rahatlou
di Eleonora Cossi


a.

Grazie al Cloud computing oggi i nostri dati possono essere conservati in una “nuvola” virtuale.
“Sognatore è un uomo con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”. Quando Ennio Flaiano lo scrisse negli anni ’70 nel suo Diario degli errori, certo non immaginava che, quasi mezzo secolo dopo, vivere agganciati a una nuvola sarebbe diventata una questione di praticità.
Shahram Rahatlou è un giovane professore dell’Università “La Sapienza” di Roma e sull’iCloud, la nuvola più famosa del mondo, ha tutto il suo lavoro. “Il Cloud computing si basa su un principio semplice: tutti i contenuti creati o acquistati sono conservati in rete e vi si può accedere da dispositivi diversi, purché collegati a internet”, mi spiega, mentre sincronizza il suo smartphone (in italiano, “telefonino intelligente”). Quando l’ho contattato su Skype per fissare questa intervista, Shahram mi ha inviato un link al suo calendario di Google, in modo che io potessi trovare autonomamente una data compatibile tra i suoi e i miei impegni. La cosa che mi ha colpito scorrendo con un click le date sullo schermo è che Shahram sembrava avere un impegno dopo l’altro in mezzo mondo. Anche viaggiando molto non sarebbe stato possibile.
Gli appuntamenti che vedevo negli Stati Uniti alle 10 del mattino e in Giappone, lo stesso giorno alle 15, erano in realtà “riunioni virtuali” fissate su Evo. “Si tratta di un programma gratuito simile a Skype, che ormai in tanti conoscono, ma con funzionalità più complete. Lo usano quasi tutte le istituzioni accademiche perché è una tecnologia valida e a costo zero”, mi racconta Shahram. Evo è il successore di un programma sviluppato al Caltech (California Institute of Tecnology), che si chiamava Virtual Room Videoconferencing System (Vrvs), e permette, infatti, di collegarsi a una stanza virtuale per partecipare a una riunione in cui possono intervenire contemporaneamente anche 140 utenti che si collegano in modalità audio o video da tutto il mondo. “Quasi tutti i miei meeting si svolgono su Evo. Questo mi permette di lavorare nello stesso giorno con colleghi che si trovano in paesi molto lontani”.
Mentre parliamo apre la schermata del programma e mi mostra che ci sono 13 riunioni virtuali in corso. Shahram Rahatlou, laureatosi a Roma nel 1998, è tornato nel 2005 con il programma “Rientro dei cervelli”, dopo un lungo periodo negli Stati Uniti dove ha lavorato al laboratorio Slac, e si trovava a Stanford nell’anno in cui è stato inventato Google (vd. Chi cerca trova).
b.
Shahram Rahatlou lavora all’esperimento Cms di Lhc anche a distanza, dal suo ufficio a Roma.


Oggi, oltre a essere professore presso l’Università la Sapienza, lavora con l’Infn nell’ambito dell’esperimento Cms (Compact Muon Solenoid), uno degli esperimenti di Lhc. La sua giornata lavorativa al secondo piano del Dipartimento di Fisica, che va ben oltre le otto ore e le pareti del suo ufficio, comincia sull’autobus n. 93, dove dà una prima occhiata alle email e risponde velocemente in chat ai messaggi degli studenti. Shahram divide il suo tempo tra la didattica e la ricerca e, in entrambe, internet e la tecnologia sono fondamentali. Per fare un esempio, durante le sue lezioni raramente si vedono diapositive in powerpoint: la lezione in tempo reale si scrive sull’iPad. “Lo uso come una lavagna luminosa, con il vantaggio che posso caricarci tutti i documenti e portarla dove voglio. Ci faccio tutto quello che farei con la carta – continua Shahram – però non credo a un’unica tecnologia per fare tutto. Per me a usi diversi corrispondono anche tecnologie diverse. L’iPad è perfetto per la didattica e per sfogliare i quotidiani online, ma i libri li leggo sul Kindle o in versione tradizionale. Spesso mi capita di essere in riunione di gruppo su Evo e di confrontarmi contemporaneamente via Skype con un collega che magari si trova negli Stati Uniti su quello che stiamo ascoltando e, contemporaneamente, segnarmi le note su Evernote, un programma che le salva nella “nuvola”. Sono su Facebook ma preferisco tenerlo fuori dall’ambito lavorativo, mentre invece uso Twitter anche per seguire lo stato di Lhc”.
Internet e in particolare la rete Grid sono parte strutturale del suo lavoro di ricerca. Dall’inizio del 2011 Shahram è a capo delle ricerche di particelle esotiche nell’esperimento Cms e coordina un gruppo di 400 fisici sparsi in circa 15 paesi che lavorano sull’analisi dei dati. Shahram e il suo gruppo di ricerca, collegandosi alla Grid, analizzano i dati sfruttando un programma sviluppato dal Cern che si chiama Root.
“Questo programma è usato da tutti gli esperimenti di Lhc”, racconta Shahram. “L’analisi dati procede così: i dati di Cms, ad esempio, sono inizialmente trattenuti su una ‘fattoria’ di dischi che si trova a Ginevra. Entro 48 ore vengono processati e distribuiti attraverso la Grid, viaggiando dove c’è disponibilità di banda. Quelli a cui accedo dal terminale, cioè dal mio computer, sono dati conservati nel Tier 2 di Roma (nodo di secondo livello gestito dall’Infn), ospitato nel Dipartimento di Fisica della Sapienza – continua Shahram – Il processo funziona anche in senso contrario. Mi collego da un punto della rete, lavoro all’analisi dati e condivido in rete i risultati che ho ottenuto. Ma la rete può essere utilizzata anche per intervenire direttamente nell’acquisizione dei dati dell’esperimento: è possibile monitorare da remoto le varie componenti del rivelatore e addirittura modificare qualche parametro, per esempio intervenendo sulle tensioni di alimentazione”. Come lui centinaia di ricercatori che lavorano agli esperimenti di Lhc popolano ogni giorno la rete.
Grazie alla Grid possono unire le loro risorse intellettive e di calcolo senza essere compresenti in uno stesso luogo. Molti non si stringeranno mai fisicamente la mano, ma tutti sono parte di una grande impresa scientifica che fa funzionare Lhc, la macchina più grande mai costruita al mondo.
c.
La sala di controllo dell’esperimento Cms di Lhc a Ginevra, dove anche Shahram passa parte del suo tempo.
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