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Una storia centenaria

Era il 1908 quando Ernest Rutherford, Hans Geiger ed Ernest Madsen iniziarono una serie di esperimenti per studi sulla radioattività con l’impiego dei primi rivelatori a gas, aprendo una strada che la comunità scientifica sta ancora percorrendo. Strada segnata da molte pietre miliari (Charpak 1968, Iarocci 1978, Oed 1987, Giomataris 1996, Sauli 1997, Bellazzini 1999, fig. 1) e che, nell’era degli esperimenti di alta energia e alta luminosità, ha trovato ampi margini di sviluppo e applicazione creando il mondo dei Micro-Pattern Gaseous Detectors (MPGD). Questa tipologia di rivelatori limita a poche centesimi di millimetro lo spazio in cui il segnale elettrico prodotto da una particella viene amplificato. Lo spazio limitato richiede poco tempo perché le cariche elettriche si neutralizzino su un elettrodo cosicché il rivelatore è pronto per un nuovo processo di rivelazione. Nel primo decennio degli anni 2000 l’attenzione si è prevalentemente concentrata su MicroMegas (Micro-mesh gaseous strutture) e GEM (Gas Electron Multiplier), che hanno trovato applicazione per la prima volta nell’esperimento COMPASS al CERN. La differenza tra le due classi di rivelatori sta principalmente nella forma dello stadio di amplificazione: una rete metallica con maglie da circa 50 μm per le MicroMegas, un foglio di kapton forato ricoperto su ambo le parti da pochi micron di rame per le GEM. Le idee alla base di questi rivelatori hanno sia sfruttato le nuove tecnologie messe a disposizione dall’industria, sia spinto la stessa industria a ulteriori innovazioni nell’ambito delle tecniche e dei materiali utilizzati nella produzione dei circuiti stampati. In particolare l’implementazione di uno schema che fornisse protezione ai componenti del rivelatore in caso di scarica ha aperto un ulteriore filone: i rivelatori MPGD resistivi. In presenza di un numero molto elevato di elettroni, il resistivo si carica localmente e fa sì che il campo elettrico all’interno del foro si riduca, interrompendo il meccanismo di amplificazione e quindi “spegnendo” la scarica. Sebbene l’uso di rivestimenti resistivi risalga alla fine degli anni ’70, recentemente, come già detto, si è assistito a una rinascita di questo tipo di materiali.

La nuova frontiera dei rivelatori a gas

Presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, dove esiste una lunga tradizione nello sviluppo di rivelatori a gas, sono stati ideati e realizzati vari rivelatori a gas innovativi e di grandi dimensioni: negli anni 80, i Plastic Streamer Tubes (PST) che hanno fatto la storia dei maggiori apparati installati sugli esperimenti del Large Electron Positron Collider (LEP) al CERN; negli anni ’90, gli RPC con elettrodi in vetro, anche noti come Glass Electrode Spark Counter (GSC, sviluppati nell’ambito delle attività del Detector Development Group – DDG), da cui sono derivati i Multi-gap Resistive Plate Counter (MRPC), installati sull’ esperimento ALICE all’LHC; nel 2012, la prima GEM cilindrica (CGEM, prodotto di DDG) con cui è stato realizzato il tracciatore interno dell’esperimento KLOE a DAΦNE – LNF, dove già era in funzione dalla fine degli anni 90 la più grande camera a deriva mai costruita, sempre sviluppata e realizzata ai LNF (KLOE-DC).

Sulla scia di questa lunga tradizione, sempre nell’ambito delle attività del DDG, specializzatosi già dal 2000 nella costruzione di rivelatori basati sulla tecnologia a GEM, recentemente è stato realizzato un nuovo MPGD

 

Fig. 1: Alcuni dei suddetti rivelatori: contatore Geiger (1), Micromegas (2), GEM (3).

 

Compatto, facile da assemblare e intrinsecamente protetto dalle scariche: queste sono le caratteristiche principali del rivelatore di nuovissima generazione che prende il nome di micro-Resistive WELL (μ-RWELL). Ispirato ai due MPGD più comuni, prende dai rivelatori a GEM lo stadio di amplificazione (kapton forato) che viene direttamente sovrapposto a un readout rivestito di uno strato di materiale resistivo (con caratteristiche a metà tra il conduttore e l’isolante), concetto ereditato invece dalle MicroMegas. Un catodo distante qualche millimetro dalla zona di amplificazione (distanza definita da una cornice in fibra di vetro) chiude l’intero rivelatore (fig. 2). L’assenza di particolari processi meccanici che richiedono lunghi tempi di lavorazione (es. polimerizzazione di colle) rende il rivelatore veloce e semplice da assemblare. Un ulteriore punto di forza di questo dispositivo rispetto ad altri è l’uniformità dello stadio di amplificazione, dal momento che la tecnologia per produrre fogli di kapton forato è ben solida dopo 20 anni di sviluppo di GEM: questa caratteristica consente di costruire rivelatori di grandi aree, che rendono la μ-RWELL adatta per l’equipaggiamento di apparati di grandi dimensioni, come quelli installati al Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra (CMS, LHCb).

Fig. 2: Sezione di una micro-Resistive WELL.

 

La μ-RWELL, come molti MPGDs, si presta anche ad impieghi in settori applicativi: rivelazione di meutroni, per tomografia in campo industriale; rivelazione di raggi X e gamma per applicazioni medicali; tomografia a muoni per homeland security e applicazioni archeologiche.

(Giovanni Bencivenni, Gianfranco Morello, Marco Poli Lener)

Ultima modifica: 15 Marzo 2017